C’è da fare (Panoramiche #8)

Introduzione

Nel 2019 potrebbe sembrare che nel mondo della Fotografia non ci sia più niente da inventare, che tutto sia stato già fotografato, in ogni modo possibile. Certo, al giorno d’oggi si fa tanto citazionismo di style e color palette di epoche passate. L’industria fotografica oltretutto propone con marketing alquanto aggressivo l’ennesima corsa ad aumentare i megapixel dei sensori, nuovi sistemi di messa a fuoco automatica più veloci ed efficienti. Si introduce perfino l’Intelligenza Artificiale, sia per aiutare l’autofocus nei corpi macchina, che per l’editing delle foto nei programmi di sviluppo fotografico. Il Medio Formato digitale non è mai stato tanto economico.

Non so dire per altri settori fotografici, ma per il Ritratto è altamente consigliabile non fare troppo affidamento su queste novità, e – in generale – sugli aspetti più tecnici della Fotografia. Restando inamovibile il fatto che a supporto di registrazione immagine più grande (pellicola o sensore) può dare maggiore qualità d’immagine, resta veritiero il motto per cui: “il perfetto è nemico del buono”.

photo by Nicolas Thomas on unsplash.com

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Dopotutto, come mai il nuovo calendario Pirelli è stato affidato a un Paolo Roversi che scatta a pellicola con macchine di Largo Formato, con focus manuale, un frame ogni ‘n’ minuti e possibilmente usando luci continue? Perché, ancora, sulle riviste di Moda compaiono editorial e campagne di Brand con presenti foto sfocate, granulose, mosse e/o per altra via tecnicamente “sbagliate”?

Se volete, si tratta anche di una questione di “scarsità contro abbondanza”: se bastasse comperare la migliore macchina fotografica con i migliori obiettivi e accessori, sarebbero in tanti – troppi – e ancora insufficiente sarebbe la scrematura se agenzie, riviste e brand si accontentassero solo di alta risoluzione e correttezza formale delle immagini. Comunque, i professionisti del Ritratto Moda sarebbero troppi, e quel punto quanti di questi verrebbero pagati? La quantità di budget per promuovere con la Fotografia brand di vestiti, accessori, cosmetici, è tutto sommato abbastanza stabile nel tempo, se aumentassero di numero i fotografi quindi…

Inoltre, i costruttori di macchine fotografiche e di programmi di foto ritocco hanno cominciato a tirare fuori, in alcune applicazioni ben definite, l’Intelligenza Artificiale. Ciò mi porta a domandarmi: a quando la sostituzione dei fotografi con dei sistemi completamente automatizzati? Telecamere che scattano foto già ne esistono, la tecnologia per ottenere simili diavolerie potrà anche non essere attuale, ma temo non sia distantissima.

Se questa tragedia dovesse cominciare, comunque, affliggerà prima i professionisti che devono catturare delle realtà: foto da competizioni sportive, foto giornalistiche, forse anche eventi e cerimonie. I generi a maggior tasso creativo, quale appunto il Ritratto e il Ritratto Moda, dovrebbero cominciare a risentirne più avanti, semmai dovesse accadere.

photo by Kenny Luo on unsplash.com

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Dopotutto, una buona foto va oltre al semplice dettaglio, una illuminazione e composizione appena buone. Nella creazione di un ritratto spettacolare, entrano in gioco anche altri elementi quali la psicologia dei colori, le trame, la capacità di evocare emozioni. Non dimentichiamo, ovviamente, il ruolo, la partecipazione e connessione fra Fotografo e Modella.

Insomma, una buona foto è una stratificazione di tecniche, concetti, intenti e soprattutto lo è in quanto è un deliberato atto del Fotografo, non un caso o un colpo di fortuna. Deve essere replicabile, almeno con un buon grado di approssimazione date le possibili differenti condizioni ambientali di scatto.

Jupiter 9 85mm F2 BW, photo by Francesco Coppola

Jupiter 9 85mm F2 BW, photo by Francesco Coppola

Quanto sopra scritto è detto in generale, anche se incentrato sulla Ritrattistica e la Ritrattistica di Moda, quanto personalmente mi prefiggo per la prossima stagione di scatti che ho già iniziato a pianificare è: Affermare, con scatti che farò, che non esiste distinzione fra buona e cattiva Luce. La Luce è Luce, sempre. M’impegnerò ad abbracciare alcuni elementi d’immagine solitamente additati come difetti: ombre – anche nette se lo riterrò necessario – e rumore. M’impegno ancora a dare più strati di lettura ai miei ritratti. Composizione, colori, Luce e Ombre, sfumature e trame. Per questo, credo, pre-visualizzerò le foto in Bianco e Nero – fra le altre cose. Sperimenterò tecniche di scatto per composit, anche. Compatibilmente con la disponibilità delle mie collaboratrici, sono anche disponibile a scattare in interni, con luce filtrata, o in qualsiasi altro modo scarsa.

Poi, certo, ho ora il compito di trovare una nuova musa per completare l’editorial autobiografico iniziato lo scorso dicembre. Non è compito facile, ma neanche impossibile. Vedremo.

T-Max 400 BW, photo by Francesco Coppola

T-Max 400 BW, photo by Francesco Coppola

Non ho affatto rinunziato a scattare ritratto (e altro) in analogico e di sperimentare anche con quello. Mi rendo però conto che, a meno non riesca a trovare un lavoro pagante, non posso disperdere le mie già scarse risposte in troppi progetti. Oltretutto, il workshop che avrei dovuto fare questo mese e che è finito rinviato al prossimo autunno è fondamentale per i miei piani in analogico. Quindi, al momento, questo piano andrà in stand by.

Le idee da sperimentare e i piani per la prossima battagliera stagione di ritratti è a buon punto, perciò – o lettore – resta sintonizzato che da giugno in poi, ne vedrai di nuovo delle belle!

Ad Majora!

Del successo delle Mirrorless fra marketing e realtà (Panoramiche #6)

Introduzione

In questa primavera 2019 siamo da poco passati dal lancio dei primi corpi macchina mirrorless full frame per i classici marchi Canon e Nikon i quali si vanno ad aggiungere a Fuji, Sony, Panasonic e anche Olympus che già producono da tempo unicamente mirrorless di vario formato. Questa mossa dei due marchi più noti di materiale fotografico segue il successo nel mercato fotografico più consumer e prosumer dei sistemi mirrorless, tanto che non mancano oramai i recensori sul web che le consigliano a scapito delle Reflex, definite “vecchie”.

A sentire parlare costoro, saremmo a breve distanza di tempo dalla fine della produzione delle Reflex, dal che ne fanno seguire il corollario per cui: se investi soldi e tempo in un sistema di corpo macchina, obiettivi e accessori, meglio farlo in un sistema che produce la migliore innovazione tecnologica, promettendo così di durare nel tempo.

A mio modesto avviso, di persona costituzionalmente ostile al marketing: queste sono balle, ma è tempo ora di andare chiarire di cosa si parla nel concreto.

Ciro-Flex Type E, fronte - photo by Francesco Coppola

Ciro-Flex Type E, fronte - photo by Francesco Coppola

Cos’è una Mirrorless e in cosa si differenzia da una Reflex?

Dai primi dagherrotipi alla Fotografia digitale odierna l’evoluzione dei corpi macchina ha seguito due binari principali, quali il tipo di supporto che registra l’immagine e il metodo di messa a fuoco, elementi che solitamente hanno determinato anche la forma stessa delle macchine fotografiche e la loro maggiore o minore velocità d’uso.

Le mirrorless si pongono in questo percorso quali ultima evoluzione del metodo di messa a fuoco, avendo tolto il sistema di specchi che nelle Reflex portavano l’immagine – per come inquadrata dall’obbiettivo – al mirino del fotografo. Inoltre, le mirrorless hanno il sistema di messa a fuoco direttamente sul sensore al posto di un motore separato come nelle Reflex, elemento per il quale le reflex hanno mantenuto, sino a circa un paio di anni fa, una superiorità nell’efficacia di questa caratteristica. Con la maturazione tecnologica avvenuta nelle mirrorless però, ora il vantaggio è di queste ultime, con punti di messa a fuoco distribuiti sull’intera superficie dell’inquadratura e con un rateo di scatto che può arrivare sino ai 30 scatti al secondo. Per loro natura costruttiva, in effetti le Reflex tendono ad avere i punti di messa a fuoco concentrati al centro, e neanche la più veloce di queste riesce a toccare i 20 scatti al secondo.

Inoltre, le mirrorless usano spesso un mirino elettronico, molto apprezzato in quanto nei modelli migliori questo mirino riesce ad anticipare – prima dello scatto – quale esposizione avrà la foto, anche in condizione di luce estrema, cosa che i mirini ottici delle macchine Reflex non fanno. Mirino elettronico significa però macchina fotografica condannata a consumare sempre e comunque più di una reflex e questo in alcuni ambiti professionali non è esattamente un pregio.

Originariamente, poi, debuttando con corpi macchina dai sensori micro 4/3 e apsc (più piccoli del Pieno Formato, Full Frame che si voglia dire, sino a 2 volte) i sistemi mirrorless promettevano di essere più piccoli, leggeri ed economici. L’equazione che si faceva allora era: venendo meno il sistema a specchi, i corpi macchina risparmiano in peso e spazio, si possono costruire quindi macchine fotografiche più piccole e anche gli obiettivi possono parimenti occupare meno spazio, quindi (relata fero) costare di meno.

Il guaio di quelle promesse è che non tenevano in conto dell’altro fattore determinante per l’evoluzione fotografica: il supporto di registrazione immagine, che nel mondo digitale è il sensore.

Fintanto, quindi, che i sistemi mirrorless hanno adottato sensori di misure più piccole del Pieno Formato, quelle promesse potevano anche mantenersi. Però,

1. Uno dei mutamenti nel mondo degli obiettivi che è invalso contemporaneamente alla crescente fama delle mirrorless, è la costruzione di obiettivi sempre più complessi, grandi e pesanti, soprattutto a partire dalla Global Vision di Sigma, la cui serie “Art” ha trascinato la produzione degli obiettivi verso l’elefantiasi. Montare un obiettivo “Art” su una macchina Micro 4/3 implicava mandare al pascolo la praticità d’uso, l’ergonomia e il risparmio in peso.

2. I sensori micro 4/3 e apsc, purtroppo, non hanno le medesime caratteristiche di tridimensionalità d’immagine, resistenza agli alti ISO e stacco del soggetto, di quelli al Pieno Formato (a meno di non spendere altri – non pochi – soldi per acquistare particolari adattatori che comunque comportavano aumento di peso e dimensioni). Inoltre, la quantità di Megapixel, la quale determina la quantità di dettaglio presente nell’immagine, in un sensore piccolo è limitata (solo per un particolare sensore Samsung si è arrivati ai 28, mentre su Full Frame si è arrivati anche a 50).

3. Tutte queste previsioni iniziali presumevano il fatto che i produttori di Reflex se ne stessero fermi a subire l’assalto delle mirrorless, senza inventarsi qualcosa di nuovo. Quando, infatti, la Canon ha lanciato nel 2014 la EOS 100D (Sl1), questa piccoletta pesava e misurava anche meno di molte sue concorrenti mirrorless. Quando Pentax ha presentato la sua K70 nel 2016, ha consegnato al mercato consumer un corpo macchina abbastanza economico, ma della medesima robustezza e resistenza alle intemperie delle sue precedenti sorelle dello stesso marchio, e con un fattore di peso e dimensione paragonabili, per esempio, a una Panasonic GH5 – che è pur sempre una mirrorless con un sensore ancora più piccolo della Pentax.

Sempre per rimanere sul brand che conosco di più perché lo uso, cioè Pentax, caratteristiche che ora sembrano irrinunciabili e “da mirrorless”, ma che qui si usano dal 2013 almeno è il sensore stabilizzato, nonché la capacità di focus peacking (il sottolineare le aree di messa a fuoco con delle linee per indicare cosa è a fuoco). Per non parlare del doppio slot per le schede di memoria su corpi macchina non Full Frame. Pentax ha anche brevettato un nuovo modello di mirino ibrido: ottico ed elettronico, il quale potrebbe elidere quel vantaggio che ora si riconosce alle Mirrorless.

4. Gli obiettivi delle Mirrorless hanno sovente prezzi inguardabili, più alti comunque degli equivalenti per reflex. Basti guardare il listino prezzi della serie G Master della Sony, oppure i nuovi obiettivi per attacco RF di Canon, fanno paura!

Allo stato attuale, quindi, ora che i marchi che hanno cavalcato sin dall’inizio le mirrorless hanno pensato bene di offrire al pubblico corpi macchina più robusti e con migliore qualità d’immagine, ecco che le nuove mirrorless top di gamme diventano pesanti e ingombranti quanto le reflex.

Tutto ciò mi porta a pensare che piuttosto che predire la fine della produzione di corpi macchina Reflex, il settore high end dell’attrezzatura fotografica sarà sì magari popolato da prodotti mirrorless, ma coesisteranno per molti altri anni ancora dalle reflex che a quel punto diverranno l’offerta più economica (come già ora, in diversi casi, è).

Quindi, vuoi perché vi sono vecchi marchi che si sono di recente buttati a produrre corpi macchina mirrorless, vuoi perché i vecchi marchi produttori di mirrorless hanno cominciato a produrre corpi macchina di dimensioni e formato immagine più grandi, Full Frame e Medio Formato, c’è tutto un battage pubblicitario, attualmente, che giura e spergiura che la giusta scelta per il professionista sia investire in questo tipo di tecnologia. Principalmente perché sarebbero il settore della produzione di attrezzatura fotografica che mostra l’avanzamento tecnologico più intenso.

Claudio Büttler on unsplash.com

Claudio Büttler on unsplash.com

Come e quando si può parlare di un corpo macchina “professionale”

Una via generalista di definire un corpo macchina “professionale” è che esso non metta ostacoli al raggiungimento degli obiettivo del Fotografo (se fa Fotografia sportiva uno scarso sistema Autofocus o mancanza di teleobiettivi, sarebbe un ostacolo – per esempio), gli garantisca la durata dell’attrezzatura (che sia abbastanza robusta), che garantisca il suo lavoro (con la ridondanza dei dati ottenuta attraverso il doppio slot di memoria), tutto ciò insieme alla qualità d’immagine che è dovuta non solo al corpo macchina ma anche al parco lenti acquistabile.

Se volessimo approfondire, per onestà dovremmo dire che a un Fotografo di architettura e arredo interni, dell’autofocus efficiente e dell’alto rateo di scatto, non gliene potrebbe fregare minimamente. Lo stesso dicasi per il Fotografo commerciale che fa Product Photografy (alla quale si può associare anche la più recente Food Photography). Dimensioni e leggerezza delle attrezzature non sono poi un metro oggettivo e universale per valutare la qualità di un corpo macchina. I paesaggisti potrebbero avvalersene – per viaggiare più leggeri – ma questo tipo di Fotografi dovrà tenere da conto anche il fatto della qualità d’immagine: cercando l’assoluto si finisce per salire di formato, da Full Frame a Medio Formato, e allora si torna a caricare schiena e ginocchia di nuovo peso.

Non esiste, insomma, un elenco univoco di caratteristiche che possa descrivere con esattezza cosa sia un corpo macchina “professionale”. Esiste l’attrezzo utile al dato progetto da realizzare, questo sì, lo si può dire.

Non è, comunque, ascoltando unicamente le recensioni on line che un professionista dovrebbe scegliere un corpo macchina o un brand rispetto a un altro. Esiste il mezzo, a loro totale disposizione, del noleggio, anche a lungo termine.

Kobu Agency on unsplash.com

Kobu Agency on unsplash.com

Conclusioni

Liberati dal discorso sulla “professionalità” concludiamo con tutti gli altri papabili acquirenti di un tipo di macchina fotografica rispetto a un’altra. Qui i motivi per fare una scelta rispetto a un’altra possono essere i più diversi, e non tutti esattamente razionali.

Si sa, oltretutto, che a volte ci si sente bloccati con la propria creatività e si avverte la tentazione di acquistare “quella macchina nuova che mi farà fare foto migliori”.

Oso dire umilmente che in questi casi la risposta più saggia potrebbe essere non l’acquisto dell’ultima fantastica novità di un brand o un altro, ma andare a vedere un po’ di mostre, investire in libri fotografici, seguire workshop e, nel caso tutto questo non bastasse, prendetevi una Holga, o una qualsiasi altra macchina a pellicola, con pochi comandi, tutta di plastica, magari anche la lente, con un autofocus… inesistente!

Potrebbe essere proprio questo quello che vi serve. Pensateci.

E questo, per l’argomento, è quanto. Spero di essere stato capace di spargere un minimo di luce in questo confuso quadro di tanto marketing e poca sostanza tecnica.


Alla prossima!





Ad Majora!













 

 

Sviluppo digitale contro sviluppo analogico (Panoramiche #4)

Comincio qui una mia dissertazione personale in tre parti sul rapporto fra Fotografia analogica e Fotografia digitale. Le tre parti saranno: 1, che male vi ha fatto Photoshop?; 2, Jpeg vs RAW; 3, Il sofismo della “Color Science”.

Premessa

Con le recenti sessioni di scatto effettuate mi trovo attualmente alle prese con lo sviluppo di un bel numero di scatti. Inoltre, non è da molto che ho ultimato il secondo modulo del corso di Fotografia Analogica e ho passato alcune ore in camera oscura, alle prese con vari chimici, fissatori e compagnia cantante. Occasione perfetta per affrontare il discorso sviluppo foto in digitale e in camera oscura (o chimico).

Trovo l’argomento “sviluppo fotografico” divertente da trattare, perché avendo solcato i vasti mari della Fotografia amatoriale, ne ho visto in azione diverse delle sue tempeste di dogmatiche opinioni su vari aspetti di questa Arte. Naturalmente sullo sviluppo digitale e il suo programma più famoso, vale a dire Adobe Photoshop, s’è detto di tutto e il suo contrario.

1 - Che male ti ha mai fatto Photoshop?

Dreaming - photo by Francesco Coppola

Dreaming - photo by Francesco Coppola

Sia chiaro che esistono anche altri programmi di ritocco fotografico a computer. Ho utilizzato il nome di un prodotto ben specifico per indicare l’intero panorama non solo dei programmi per lo sviluppo fotografico digitale, ma anche l’attività stessa di usarli, così come è entrato nell’uso comune fra chi discute di questa attività. Fra l’altro Adobe Photoshop è più una piattaforma di elaborazione grafica, che un programma di solo sviluppo fotografico. La Grafica infatti è un campo molto più vasto e complesso - nella sua elaborazione a computer - rispetto allo sviluppo fotografico. Per intenderci: una volta, tanto tempo fa, fui assunto da un’azienda che produceva siti internet per aziende perché avevo messo fra le mie skill tecniche “uso Photoshop fotografico” e mi avevano messo a svolgere mansioni che richiedevano anche competenze grafiche. Furono i giorni peggiori della mia recente vita. Anche solo imparare a fare un logo letterale mi costò una nottata insonne, perso dietro a tutorial on line.

Premesso quanto sopra, c’è chi riduce tutto quel che si fa e si può fare a computer con le immagini, a quegli esempi di cattivo uso di High Dinamic Range (HDR), Contrasti sparati, Cieli assurdi con forti aloni intorno alle superfici confinanti col cielo nei paesaggi, occhi da alieno nei ritratti di modelle, lune gigantesche poste troppo vicino a montagne, e tutto il nutrito compendio di orrori che la “Fotografia Democratica” (vale a dire quella che la tecnologia ha reso accessibili a una massa di persone) ci ha sbattuto contro il muso. Davanti a tutto questo mal uso dei mezzi tecnici che il digitale mette a disposizione, certo, si tende a mitizzare l’era in cui si scattava a pellicola, anche perché allora la Fotografia era un’arte senza ombra di dubbio più elitaria. L’immagine fotografata circolava di meno e sapeva sicuramente meravigliare più facilmente di quanto non accada oggi.

Succede, però, che questo mito dei tempi passati faccia più di un passo oltre il confine del documentato e lecito e cominci a spararle grosse. Così grosse da travisare del tutto la realtà dei fatti.

C’è chi, infatti, da un manto di “sincerità”, “immediatezza” o “naturalezza” che, francamente parlando, la Fotografia non ha mai avuto. Forse, durante l’ubriacatura positivista del primo dopoguerra, l’occhio della macchina fotografica poteva anche essere scambiato per quello della “verità”. Gli anni ‘60, però, li abbiamo superati da un pezzo, suggerisco di crescere e ammodernarsi anche a chi crede a queste svenevolezze.

Nel caso vi stiate irritando col qui scrivente, abbiate la pazienza di attendere che vi mostri un paio di fattarelli, semplici, semplici, come a volte le cose legate alla Luce possono essere. Cominciamo a guardare questo articolo di una nota testata giornalistica, tanto per cominciare ad approcciare il fatto che il ritocco fotografico si è sempre fatto, è sempre stato tecnicamente possibile - sia in fase di sviluppo che anche dopo, sulla foto stessa. Pensiamo, inoltre, alle vecchie foto dei soldati di trincea della Prima Guerra Mondiale, quando si aggiungeva a china qualche tratto per contrastare di più occhi e altri lineamenti del volto, per poi andare alle falsificazioni dettate dagli uffici di propaganda politica, sino alla scoperta “scandalosa”, che certo fotogiornalismo (quella branca dell’Arte che più si è calata nel vanto del ritrarre il “vero”), anche di denuncia, penso per esempio al caso di Eugene W. Smith, il quale faceva posare i suoi soggetti per fotografie che non erano affatto istantanee provenienti dal tessuto sussultante di dolore di qualche, più o meno esotica, realtà.

Ansel Adams, The Negative, snapshot by Francesco Coppola

Ansel Adams, The Negative, snapshot by Francesco Coppola

Non dovessi avervi ancora convinto, non mi resta che citare lui: Ansel Adams, secondo qualche stordito un esempio di "Fotografia senza ritocchi” e perciò stesso “veritiera”. Costui che è il padre del fotoritocco, del Sistema a Zone e autore di diversi libri di tecnica fotografica, scrive a inizio del suo secondo volume – The Negative – le seguenti parole:

Per una stampa fotografica è impossibile replicare la gamma di luminosità della gran parte dei soggetti, e per questo le fotografie sono, in qualche misura, un’interpretazione del soggetto originario.

Gran parte della creatività nella fotografia sta nella gran varietà di scelte che un fotografo ha fra una rappresentazione quasi letterale del soggetto e una libera interpretazione che si allontana dalla realtà dello stesso. Il mio lavoro, per esempio, viene spesso definito “realistico”, quando in realtà la relazione fra i valori di luminanza nelle mie foto sono alquanto lontani dalla rappresentazione letterale dei soggetti.

Io uso numerosi strumenti fotografici per creare un’immagine che rappresenti ‘l’equivalente di ciò che ho visto e provato’, per parafrasare una frase che ho sentito molte volte pronunciare dal fotografo Alfred Stieglitz – il grande fotografo di inizio Novecento.

E ancora

Nella fotografia in Bianco e Nero registriamo un soggetto tridimensionale in (un’immagine) bidimensionale e in scala di grigi. Abbiamo una considerevole libertà per alterare i valori (di luminanza) attraverso il controllo dell’esposizione e lo sviluppo, l’utilizzo di filtri, e altro.

(The Negative – Ansel Adams, 1949. Traduzione mia dall’inglese)

Contrariamente da quanto creduto da certuni, quindi, postprodurre le foto è un’attività di lunga, nobile e professionale storia. Fondamentale è però imparare a farlo correttamente, di modo che allo sguardo di chi vede per la prima volta la fotografia il messaggio insito nella foto vada a stupirlo, senza venire prima frenato dalla constatazione che: “ah, questa è passata da Photoshop”, così come succede quotidianamente ovunque sul globo terracqueo ogni volta che si vede uno scatto pubblicitario rimanendone piacevolmente colpiti.

C’è, piuttosto da chiedersi: non è che tutta la teologica prurigine contro la post produzione non viene piuttosto da pigrizia, dalla mancanza di voglia di spendere tempo a elaborare scatti al computer?

Chiedo così, tanto per.

Questo è quanto ho per ora da dire in merito e ti rimando, lettore, alla prossima puntata di questa discussione che spero anche tu abbia trovato interessante e, chissà, magari divertente.

Ad Majora!

Mitologia dell'Autofocus e utilità del Focus manuale (panoramiche #2)

Avviso:

In questo blog la Fotografia è considerata pari a un luogo, un territorio vasto, ma non sconfinato. Ne consegue che sia in fase di scatto che di sviluppo si può arrivare a ottenere risultati simili e apprezzabili applicando diverse tecniche, attrezzature e modi di vedere. La qual cosa comporta che in questo ambito affermazioni troppo assolute che iniziano per “non è mai” oppure, “devi sempre” sono come porte chiuse, magari ben piantate a terra, ma senza muri intorno e quindi facilmente aggirabili.

Photo by Xuan Nguyen @darthxuan on unsplash.com

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 Alla luce di quanto sopra detto segue l’argomento trattato oggi: l’AF (Autofocus), uno dei più grandi mezzi di marketing applicati dai vari marchi di attrezzatura fotografica. Si vantano trilioni di punti di Messa a Fuoco, disposti lungo l’intero area d’immagine e magari anche oltre, con 3D Tracking, Multi Pixel, e sensibilità alla luce da almeno -10 EV. Ah, e poi naturalmente per l’efficacia dell’AF viene anche declamato quanto è migliore un obiettivo rispetto a un altro, con ovvia prevalenza sui “bianconi”, ossia quei teleobiettivi professionali (quelli della Canon hanno colore bianco, di lì il nomignolo) dal costo elevato.

Il tutto: caratteristiche vantate, recensioni e videorecensioni, ma anche le “guerre di religione” fra i fanboys dei diversi brand, serve solo a un fatto: vendere l’attrezzatura più costosa possibile. Una specie di Apple stile applicato alla Fotografia.

Photo by Jakob Owens @jakobowens1 on unsplash.com

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Si tratta di uno dei vari armamentari pubblicitari con cui irretire il mitico allocco con ampia capacità di spesa che si reca in negozio fotografico e ben poca cognizione di cosa sia la Fotografia, tranne una qualche desiderosa idea di “poterci fare tanti soldi”. Tali signori sono i beneamati clienti di quei negozi di Fotografia per cui, probabilmente, il qui scrivente non verrà mai chiamato a lavorarci, tale e tanta è presente qui l’attitudine alla vendita. Pazienza.

Cosa c’è di vero, però, sull’utilità di un formidabile e accurato Autofocus?

Se affermassi “nulla”, contraddirei la premessa del presente articolo, quindi starò cauto scrivendo: “qualcosa, ma nulla di troppo serio”.

Non fraintendetemi, però, per un professionista che ha una commessa pagata per fotografare un evento irripetibile, velocità e accuratezza di un comparto AF efficiente è importante. In altri generi, ugualmente professionali e paganti, della Fotografia e per chi è alle prime armi, però questa importanza è assai relativa.

Lasciate che vi racconti un piccolo aneddoto che mi è capitato.

The One Project @theoneproject on unsplash.com

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Un paio di anni fa frequentando uno dei tre moduli di formazione sull’uso di Adobe Lightroom in una classe frontale a Milano. In pausa si faceva la classica conoscenza fra fotoamatori: con che macchina si fotografa, cosa piace fotografare, i progetti fatti e quelli in programma. Quando gli dissi che avevo in programma di fotografare un concerto della band rock di un amico, in uno spazio per concerti, con un vecchio 135mm degli anni ’70, il mio compagno di corso – inviatomi probabilmente dagli Dei della Luce e delle Ombre – mi disse la classica frase topica: “Ma non è possibile, non puoi mettere a fuoco efficacemente un soggetto in movimento con un obiettivo senza autofocus”.

La Fotografia, per chi la pratica, può fare tante cose. Dimostrare la realizzabilità dell’impossibile (o quel che tale viene percepito in qualche mente un poco ristretta) è la mia preferita. Perciò, al primo pomeriggio utile seguito a quel corso di cui sopra, mi recai al parco dell’Adda nord, in località Trezzo sull’Adda, e mi misi a documentare con la mia K3 e il Takumar 135mm f 2,5 (Bayonet), la vita di cigni e folaghe alla presa con la cova e l’espansività – a volte molesta – dei germani reali.  Da quel pomeriggio viene la seguente foto che decisi di intitolare proprio come questo formidabile fotoamatore aveva affermato: ‘Non si può mettere a fuoco efficacemente un soggetto in movimento veloce con una lente manuale’.

You can’t focus manually on fast mooving subjets, by Francesco Coppola

You can’t focus manually on fast mooving subjets, by Francesco Coppola

Esposto quanto sopra e volendo approfondire:

Le macchine fotografiche hanno cominciato ad avere la capacità di mettere a fuoco automaticamente in un tempo assai recente della Storia della Fotografia: del 1977 è il primo modello a montarlo, la prima reflex a usarlo fu la Pentax ME-F, del 1981, e non diventò uno strumento sufficientemente affidabile prima della seconda metà degli anni ‘80. Di Olimpiadi e competizioni sportive indoor; gruccioni, passeracei vari, se ne fotografavano anche prima. In manuale. Questo è un dato storico verificabile da chiunque sul web o in biblioteca. Cercatevi un po’ le foto che si facevano negli anni ’60 e ’70 alle competizioni sportive e all’avifauna. O anche nel reparto Moda. Sì perché questa aria di importanza che si da all’Autofocus oggigiorno tocca anche questo settore. Ci prova, almeno. Peccato che di scatti con movimento e svolti in velocità se ne facevano anche prima che l’AF diventasse veramente un argomento di discussione serio.

Photo by Zhen Hu @zhenhu2424 on unsplash.com

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Detto ciò, sembrerebbe – sentendo parlare certi fanatici degli automatismi fotografici – che gli unici ambiti professionali paganti in Fotografia siano, sport e fotografia naturalistica all’avifauna (quella di taglio piccolo e sempre in movimento: gruccioni e colibrì), nonché a un ben dato tipo di Fotografia di Moda.

Vi posso assicurare, senza paura di venire smentito, che si fa fior di Fotografia professionale anche scattando edifici, arredamento di interni, fotografando prodotti con tecniche macro. Vi è, anche, chi nell’ambito della Fotografia di Moda scatta anche mosso, o fuori fuoco, o usa macchine di Largo Formato con tecniche di Light Painting, dove l’autofocus, signori… non esiste. Guardatevi i lavori del grande Paolo Roversi, tanto per fare un esempio, e rendetevi conto.

E quando avete una commissione pagata per coprire un concerto al chiuso e il vostro AF non funziona più tanto bene? E quando, di lavoro in lavoro, succede di urtare l’obiettivo o danneggiare la macchina (quando si lavora l’attrezzatura si può rompere sul più bello, è un dato di fatto), e la macchina e l’obiettivo funzionano, tranne che per il benedetto Autofocus? Il fotoamatore magari dovrà rinunciare alla commessa, il Fotografo invece scatterà focheggiando in manuale, portando comunque a casa la pagnotta – dimostrando oltretutto professionalità.

Photo by Olesya Yemets @ladymilkydeer on unsplash.com

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 Posso anche spaventarvi con questo argomento, siete pronti?

Quanto pensate durerà la disponibilità a pagare bene un qualsiasi fotografo, a livello mondiale, da parte dei committenti, quanto la “fotografia computazionale” e l’intelligenza artificiale che già hanno cominciato a far capolino anche in questo mondo, avanzerà oltre? Quando ci saranno strumenti elettronici e/o informatici capaci di fare tutto il lavoro con un solo click? Chi continuerà a venire ben pagato per il proprio lavoro: il Fotografo viziato dagli automatismi della propria attrezzatura, o il Fotografo che sa andare in manuale, che sa inventare soluzioni quando l’affidabilità della propria attrezzatura viene meno? Chi sa creare L’errore calcolato?

Quindi, a chiunque sia alle prime armi con la Fotografia dico: imparate a mettere a fuoco in manuale. Si faceva un tempo, lo faccio io nella mia pratica, lo potete imparare a fare anche voi. Non c’è modo migliore per imparare la fotografia che scattare in manuale.

E con questo amichevole consiglio dal vostro umile praticante di Fotografia, ti saluto – caro lettore – e ti rimando alla prossima, spassosa, diatriba dal luminoso mondo della Fotografia.